Intervista a Massimiliano Kuveiller

Introduzione
Vincenzo Condorelli AIC:
Massimiliano, benvenuto a TDC2C. Siamo molto felici di averti con noi. Questa conversazione nasce dal desiderio di entrare nel cuore di Le città di pianura e del tuo lavoro di direzione della fotografia su un film che, personalmente, ho avuto la fortuna di vedere a Monaco: mi è piaciuto moltissimo. E mi sembrava naturale continuare quel dialogo iniziato mesi fa sul sito AIC, ma questa volta concentrandoci davvero sul film e sul “come” è stato fatto.
Con noi c’è anche Daniele Massaccesi AIC, che ringrazio per la partecipazione.
Daniele Massaccesi AIC:
Ciao a tutti. Mi fa piacere esserci. Io e Massimiliano ci conosciamo da tanti anni e ci siamo un po’ persi e ritrovati. Non ho ancora visto il film in sala, spero di farlo in questi giorni, ma ne ho sentito parlare molto e sono curioso, anche per alcune scelte produttive e di linguaggio.
L’incontro con Francesco Sossai
Vincenzo Condorelli AIC:
Partiamo dall’inizio: come nasce il tuo rapporto con Francesco Sossai e come siete arrivati a fare insieme Le città di pianura?
Massimiliano Kuveiller:
Nasce in modo semplice. Io avevo fotografato il primo film di Alessandro Roia, e Francesco aveva visto quel film. Aveva contatti con Alessandro, ci siamo incontrati e da lì è partito tutto. Francesco aveva già lavorato su altri progetti e, per un lungometraggio italiano, era arrivato il momento di costruire una collaborazione anche qui.
Perché la pellicola (e perché Super16)
Vincenzo Condorelli AIC:
La scelta cruciale: perché girare in pellicola? E perché Super16?
Massimiliano Kuveiller:
In realtà la radice è sempre quel film con Roia, che avevo girato in 35mm. Francesco, invece, veniva da lavori in 16mm: la pellicola gli piace, e sul 16mm era molto deciso. Non voleva nemmeno “provare” alternative: per lui il 35mm era già “troppo pulito” come immagine. Io non mi sono adeguato immediatamente per automatismo: semplicemente l’idea del 16mm mi divertiva, mi sembrava coerente e stimolante.
Test, ottiche e limiti reali di produzione
Vincenzo Condorelli AIC:
Parliamo di preparazione e numeri — perché sono utili anche a chi vuole capire cosa comporta davvero girare in pellicola oggi. Che tipo di provini avete fatto? Come avete scelto le ottiche?
Massimiliano Kuveiller:
Ti sorprenderà, ma di provini ne abbiamo fatti pochissimi. Non avevamo la possibilità — economica e pratica — di girare molta pellicola per provini e controlli. Avevo a disposizione alcune serie di lenti, ne ho scelte due e abbiamo fatto provini su quelle. La scelta era anche dettata dalle necessità: mi serviva apertura, perché giravamo tanto di notte e il 16mm richiede più attenzione.
Le ottiche che abbiamo poi usato erano Zeiss; avevo valutato anche un set di ottiche russe, ma alla fine la scelta è stata Zeiss.
Quanta pellicola al giorno: “la disciplina” del minutaggio
Vincenzo Condorelli AIC:
Quanta pellicola avevate a disposizione? Quanti rulli al giorno?
Massimiliano Kuveiller:
Avevamo una media di tre rulli al giorno: 400 ft ciascuno. Parliamo di circa mezz’ora abbondante, attorno ai 30–33 minuti di girato al giorno.
Daniele Massaccesi AIC:
Questo è un punto fondamentale, perché oggi molti sono abituati a lavorare con sensibilità altissime e con un monitor che “rassicura” sempre. Tornare a una logica di 500 ASA e a una disciplina del girato è un cambio mentale.
Massimiliano Kuveiller:
Io venivo già da set dove la pellicola era parte del metodo. Avevo lavorato su Finalmente l’alba (come operatore) e in altri contesti dove si girava in pellicola e si ragionava in modo molto concreto su esposizione, sensibilità e tempi. Quindi non ho vissuto lo shock come un ritorno “impossibile”: era un approccio che conoscevo e che ho cercato di ricreare.
I giornalieri: attesa, fiducia, ritmo
Vincenzo Condorelli AIC:
E i giornalieri? Quanto tempo passava prima di vedere ciò che avevate girato?
Massimiliano Kuveiller:
Li vedevamo circa una volta a settimana. Il materiale veniva sviluppato in Olanda, ad Amsterdam, e poi arrivava in forma di scansione.
Vincenzo Condorelli AIC:
Tu cosa guardavi esattamente?
Massimiliano Kuveiller:
Io guardavo un’immagine “flat”, senza look applicato. Non un “negativo” nel senso romantico del termine, ma una scansione senza correzioni: pulita, neutra.
Daniele Massaccesi AIC:
Questo cambia tutto rispetto al digitale: sul set vedi già “quasi” l’immagine finale, e spesso questo apre la porta a mille interferenze.
“La sorpresa” e il beneficio di non fissarsi sui dettagli
Daniele Massaccesi AIC:
Ti è capitato di avere sorprese? Qualcosa che non ti aspettavi vedendo poi le immagini?
Massimiliano Kuveiller:
Sì, una scena di notte molto buia — un esterno dove davvero c’era pochissima luce. Lì ho rischiato parecchio. Poi, vedendola, mi è piaciuta: la sorpresa è anche parte del bello.
E c’è un’altra cosa: quando non stai schiacciato sul monitor a controllare il dettaglio, ti concentri di più sul totale. Sul monitor spesso si finisce a inseguire micro-problemi che nell’insieme contano poco.
Daniele Massaccesi AIC:
E questo, secondo me, oggi è diventato quasi patologico: troppe persone “giudicano” l’immagine sul set, si perde tempo su cose che nessuno vedrà, e si distrae il regista.
Una sola pellicola: 500 ASA sempre
Vincenzo Condorelli AIC:
Che emulsione avete usato?
Massimiliano Kuveiller:
500 ASA. Sempre. Anche in esterno giorno.
Vincenzo Condorelli AIC:
Scelta pratica?
Massimiliano Kuveiller:
Sì: cambiare emulsione avrebbe creato complicazioni e non ce lo potevamo permettere.
Francesco Sossai e la pellicola come “forza”, non come limite
Vincenzo Condorelli AIC:
Com’era Francesco sul set rispetto alla pellicola? La viveva come una limitazione?
Massimiliano Kuveiller:
No. Anzi: credo l’abbia vissuta come una forza. Aveva le idee chiare e sapeva perfettamente che c’era un minutaggio massimo giornaliero, anche per ragioni economiche. Non ho dovuto “spiegargli” nulla: era naturale, per lui.
Vincenzo Condorelli AIC:
Questa è una frase importantissima: il limite come forza.
Daniele Massaccesi AIC:
Sì, perché quando sei “limitato” concentri le energie su ciò che conta. Quando puoi fare troppo, disperdi. E si stancano anche gli attori: ripetere troppe volte la stessa scena, da troppe misure diverse, cambia l’atmosfera e cambia anche il linguaggio.
Notte, 16mm e il ricorso al 35mm
Vincenzo Condorelli AIC:
Nel film ci sono notti importanti. Come avete gestito la notte in 16mm?
Massimiliano Kuveiller:
Il problema era sui campi larghi di notte: in 16mm inizi ad avere poca definizione. Per alcune situazioni abbiamo usato il 35mm, in 3-perf, per avere un corrispettivo che reggesse meglio.
E avevamo pochissima pellicola 35mm: quattro rulli per tutto il film.
Daniele Massaccesi AIC:
Il 3-perf, tra l’altro, ti dà un campo più largo e ti avvicina, come sensazione di “spazio”, al 16mm.
Massimiliano Kuveiller:
Questa soluzione mi è stata consigliata da un collega: Marco Graziaplena, con cui mi sono confrontato. Gli ho spiegato il problema e mi ha detto che quella poteva essere una strada. Alla fine abbiamo fatto così.
Luci: LED e pellicola
Vincenzo Condorelli AIC:
Parliamo di illuminazione. Che tipo di parco luci avevate, soprattutto per le notti?
Massimiliano Kuveiller:
Ricordo un Nanlux 800, SkyPanel e poi proiettori quando serviva rinforzare. Il parco lampade non era enorme, ma c’era l’essenziale: qualche unità più grande e poi strumenti pratici.
Daniele Massaccesi AIC:
E la pellicola come rispondeva ai LED?
Massimiliano Kuveiller:
Non ho avuto problemi. Mi sono reso conto che la pellicola, in certi casi, risponde anche meglio del digitale. Sui toni più caldi, sulle basse luci, non ho notato differenze “negative”: tutto funzionava.
Postproduzione: meno intervento, più organicità
Vincenzo Condorelli AIC:
E in post? Che differenza hai sentito rispetto a un film digitale?
Massimiliano Kuveiller:
Intervengo molto meno. La pellicola parte già con un carattere e un look: non hai bisogno di costruire tutto dopo. Non ti metti a fare maschere e correzioni infinite per “aggiustare” — lavori in modo più organico.
Vincenzo Condorelli AIC:
Avete fatto push?
Massimiliano Kuveiller:
Sì: il 35mm è stato tutto pushato di uno stop. Sul 16mm non me la sono sentita di rischiare. Non ho testato: era una scelta che mi aspettavo e che ho gestito con consapevolezza.
AI, metodo e “piacere dell’errore”
Vincenzo Condorelli AIC:
Vorrei aprire una parentesi: oggi si parla molto di intelligenza artificiale, spesso in modo un po’ superficiale. Io credo manchi un passaggio: come fai le cose è parte del risultato. Il metodo incide sull’immagine, sulle idee che nascono sul set.
Daniele Massaccesi AIC:
Secondo me l’AI avrà un mercato, soprattutto industriale. Ma anche lì: devi dare input. E gli input “fotografici” sono scelte, non parole generiche. La direzione della fotografia è un percorso di decisioni che nasce dentro di te e poi si concretizza.
Massimiliano Kuveiller:
E poi c’è una cosa: l’errore fa parte del bello. A volte viene bene. Ma devi saper cogliere “l’errore giusto”.
Vincenzo Condorelli AIC:
Mi sembra una definizione perfetta. Il limite come forza, e il gusto dell’errore come parte dell’umano.
La pellicola: atmosfera, rituale, concentrazione
Daniele Massaccesi AIC:
Secondo te girare in pellicola è stato “una forza” anche per l’atmosfera sul set e per gli attori?
Massimiliano Kuveiller:
Non so dirti se il film sarebbe stato meglio o peggio in digitale: la forza del film è la recitazione e la storia. Però sì, girare in pellicola è più rituale: caricare il magazzino, il silenzio, il rumore della macchina… è tutto più scandito. Può creare un’atmosfera. Forse “qualcosina in più” la dà.
Consigli a chi vuole proporre la pellicola oggi
Vincenzo Condorelli AIC:
Ultima domanda, pensando ai giovani filmmaker che ci seguono: se un direttore della fotografia sente che una storia renderebbe meglio in pellicola, come dovrebbe proporla a regista e produzione?
Massimiliano Kuveiller:
Il punto è economico. Se lo proponi a un regista, raramente ti dice di no — perché spesso la pellicola è desiderata, soprattutto su film che cercano un look e un carattere. Il nodo vero è capire quanto devi girare, fare un conto realistico, parlarne con la produzione e verificare se è sostenibile.
In termini di differenza economica, su un film piccolo — con una macchina da presa — non è una distanza enorme: può essere un extra che va, indicativamente, dai 50 ai 100 mila euro. Ma se magari, per altre esigenze, devi girare con tre macchine allora diventa improponibile.
Vincenzo Condorelli AIC:
Quindi, in sintesi: è una scelta autoriale, legata alla storia, ma va tradotta in numeri e minutaggi.
Chiusura
Daniele Massaccesi AIC:
Io invito sempre a partire dalla storia: che cosa vuoi raccontare e come vuoi raccontarlo. Da lì scegli il mezzo. La pellicola può aggiungere qualcosa — anche psicologicamente per gli attori: richiede concentrazione, crea una sorta di “rituale” che influisce sul set.
Vincenzo Condorelli AIC:
Massimiliano, grazie. È stata una conversazione preziosa, piena di dettagli concreti e anche di riflessioni sul metodo, sul limite e sull’idea di cinema come processo. Invitiamo chi ci ascolta ad andare a vedere Le città di pianura in sala, finché è possibile.
Grazie ancora a Massimiliano Kuveiller e a Daniele Massaccesi AIC per essere stati con noi a TDC2C. Buone feste a tutti.
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